mercoledì 16 aprile 2014

Psicologia della creatività e arte


Psicologia della creatività e arte

download-5.jpg
di Paolo Quattrini
Se non si vuole fare uso di paraventi metafisici, bisogna per forza immaginare che l’arte abbia come prodromo qualche fenomeno psichico naturale. Nietzsche ne individua due, l’ebrezza e il sogno, nelle quali vede l’origine di due forme primarie di arte, quella dionisiaca e quella apollinea[1].
Dall’ebrezza ritiene che prenda origine la musica[2], che induce movimento, mentre fa risalire al sogno le arti plastiche, che tendono all’immobilità della forma perfetta: il teatro tragico, con la sua capacità di coinvolgere emotivamente, e dove, allo stesso tempo, la rappresentazione tende alla perfezione estetica, appare come una sintesi compiuta delle due. Anche se con peso diseguale, queste possono essere viste come polarità sempre presenti in ogni opera d’arte: bellezza e vita, come diceva Dostoevskij.
Istanze universali, non è difficile riconoscerne l’analogia nella differenziazione di Kohut fra pulsionalità e narcisismo[3], visti come poli dell’esperienza umana: la pulsionalità, infatti, è quell’investimento di interesse nel mondo esterno che spinge la persona a muoversi per andargli incontro, mentre il narcisismo è una ricerca della perfezione[4] che tende inevitabilmente alla immobilità, sia in senso positivo che negativo.
Si parla di dionisiaco quando la spinta delle pulsioni erompe e altera la perfezione immobile dell’equilibrio narcisistico precedente; di apollineo quando la disgregazione dell’immagine che il movimento ha provocato viene ricomposta in un insieme dotato di valore estetico, viene com-preso in una nuova unità sperimentata come per-fetta, e narcisisticamente soddisfacente.
Mentre l’opera apollinea è in genere arte di regime, che canta i trionfi e i fasti dello status quo e delle classi al potere, l’arte dionisiaca è tale in quanto scatenatrice di pulsioni: dall’iniziale musica orgiastica si sviluppa, attraverso varie forme intermedie, in quella che oggi è l’arte “leggera”, cioè la musica leggera, la letteratura d’evasione (gialla, rosa, d’avventura, horror, eccetera). Qui tutta l’attenzione è puntata sull’effetto emotivo, e la qualità è determinata dal risultato, mentre la ricomposizione non è il problema, tanto è vero che di solito è banale: l’assassino va in prigione, gli amanti si incontrano, gli eroi sopravvivono e salvano il salvabile[5].
Riguardo al dionisiaco, bisogna ricordare che la dinamica delle emozioni soggiace a leggi psicobiologiche insormontabili, che non possono essere variate per esigenze di copione, né nell’interazione con l’osservatore, né all’interno dell’opera, a meno che non si definisca un contesto dove sia intrinsecamente sensato, come per es. nella pittura surrealista. È, inoltre, necessario che l’evento si inserisca nella storia e si faccia posto per lo meno nel ricordo, perché einmal ist keinmal[6], come dice Milan Kundera[7], questo può avvenire in tante modalità e fare una regola sarebbe impossibile per la quantità di eccezioni, ma è possibile appellarsi al buon senso e dire che l’evento deve essere significativo e quindi legarsi ad altri eventi, per esempio, per la sua somiglianza e analogia, o per la sua totale dissimiglianza, o per qualunque altro motivo emotivamente significativo.
Perché l’opera possa poi diventare anche fenomeno apollineo, bisogna d’altronde che la nuova forma da raggiungere non sia semplicemente convenzionale, ma piuttosto squisita nello spontaneo e armonioso aderire rigorosamente all’arbitrio delle leggi estetiche.
Dionisiaco e apollineo hanno dunque leggi diverse, ma rigorose: l’arte dionisiaca fallisce là dove non suscita emozioni, (un libro giallo scontato, un horror che non fa paura, una storia d’amore squallida), mentre il peggio per l’arte apollinea sarebbe aderire a un modello, cioè copiare, oppure rappresentare le pulsioni soddisfatte senza intoppi, o non soddisfatte per intoppi banali, per esempio per intoppi nevrotici. Non ci sarebbe niente di più banale, apollineamente parlando, di un personaggio che si tormenti fra le preoccupazioni e alla fine con grandi sforzi produca un sintomo nevrotico.
Oggi l’arte dionisiaca e quella apollinea, come fenomeni separati, si considerano in definitiva forme d’arte minore: l’arte di buona qualità va necessariamente a coprire l’intero processo di rottura e ricomposizione dell’equilibrio narcisistico, sia nella musica che nelle arti plastiche e, soprattutto, nella letteratura: l’arte, nel senso moderno del termine, è la diretta discendente della tragedia greca.
L’ingrediente specifico dell’arte è la creatività, e qualunque scarabocchio è un elemento pulsionale che prende la forma voluta dal pittore, cioè si veste narcisisticamente attraverso un’invenzione. Quando l’artista dà forma alle sue pulsioni attraverso un pedissequo rispecchiamento dello status quo personale o sociale, è una situazione dove, in un linguaggio psicopatologico, è investita narcisisticamente, in modo difensivo, un’immagine rigidamente immobile, e non la dinamicità della vita pulsionale. Nell’esperienza soggettiva di chi osserva, la sensazione generalmente sarà di noia e il giudizio di banalità.
Ponendoci ora davanti a un prodotto artistico e volendo fare una critica ragionata, dovremo quindi osservare questi elementi:
1 – l’equilibrio precedente;
2 – l’irruzione pulsionale che lo altera;
3 – il processo di ricomposizione;
4 – il nuovo equilibrio raggiunto.
1) Se l’equilibrio precedente è qualcosa di banale, in genere qualunque spinta pulsionale può perturbarlo, ma ugualmente con facilità si ristabilisce un qualsiasi altro equilibrio, e resta difficile dispiegare in mezzo un gusto estetico abbastanza complesso, su cui forgiare  ciò che segue.
Come dice Winnicott, non c’è invenzione senza tradizione[8]: se inventare significa rielaborare le forme preesistenti, non è impossibile, ma certo più difficile, partire da un inizio banale.
2) L’irruzione pulsionale dovrebbe essere, nella sua dirompenza, specifica a quell’equilibrio, se si vuole mantenere una coerenza che supporti.
3) Il processo di ricomposizione, dove bisogna che si manifesti il proprio senso dell’armonia, che è, teoricamente, a piacere, ma in pratica ancorato alla tradizione culturale della persona e alla sua esperienza, con una libertà di movimento esplorativo che dipende dalle contingenti speficità dell’artista.
4) Il nuovo equilibrio raggiunto: è comunque il punto d’arrivo, e anche se può non essere il momento culminante dell’opera deve comunque essere significativo, magari nella sua insignificanza, di un’ottica umana non forzata ideologicamente (nel qual caso abbiamo l’opera didascalica, che è sinonimo di qualità scadente), ma decantata spontaneamente dalla con-fusione iniziale, dove il calore delle pulsioni irrompenti aveva fuso insieme le precedenti differenziazioni.
Tutto questo si estende, pur con le dovute precauzioni[9], al mondo delle sensazioni, anche se non coincide tout court con il pulsionale. Ogni emozione infatti consiste in un particolare insieme di sensazioni, che possono quindi essere considerate le componenti base del dionisiaco: le sensazioni di per sé costituiscono un universo praticamente illimitato in confronto a quello relativamente ristretto delle emozioni.
Se le pulsioni, cioè le emozioni[10], comportano movimento, il quale perturba e trasforma, le sensazioni non implicano reazioni precise che necessitino una forma correlata alla funzione e in armonia con, e non sono quindi un incentivo “drammatico” all’arte: sta di fatto però che un impatto sulle persone ce l’hanno, e anche potente, e scatenano una disponibilità ad agire indifferenziata che proprio per questo suo essere svincolata dalla funzionalità della forma, ben si presta all’operazione creativa, che assomiglia in questo caso più all’estatico giocare dei bambini nella prima infanzia che alle serie composizioni degli adulti.
Mentre le emozioni hanno a che fare in un certo senso con comportamenti limite in situazioni limite, per la maggior parte del tempo quotidiano stiamo sotto a questo limite e, a questo livello, i comportamenti non sono ancora codificati dalla tradizione: tutta la parte di esperienza che a buon diritto rimane a livello inferiore dell’emozione, per quanto riguarda la restituzione è aperta a una pressochè illimitata possibilità di invenzione, che è vera e propria sperimentazione estetica, e certamente anche etica.
D’altra parte, per quel che riguarda la critica d’arte, il problema è (o dovrebbe essere) l’effetto che l’opera provoca sull’osservatore: in realtà l’opera d’arte è viva solo se è in grado di spostare l’equilibrio dell’osservatore e di facilitare nuovi movimenti, nuove esplorazioni, nuovi giochi in senso winnicottiano.
Tutto questo vale quindi ovviamente per quella che potremmo chiamare un’arte naturale, che non significa naturalistica: pur avvalendosi di qualsiasi forma espressiva, naturalistica o no, quest’arte si indirizza infatti alla capacità naturale dell’essere umano di recepirla, vale a dire alla sua capacità di farsi inebriare e di farsi trasportare nei sogni, rimanendo al di qua di quelle colonne d’Ercole la cui trasgressione, come Ulisse ben sa, non ha mai portato fortuna a nessuno.

Paolo Quattrini, psicologo, psicoterapeuta, Direttore Istituto Gestalt Firenze




[1] NIETZSCHE F Nascita della tragedia dallo spirito della musica”"Opere di F.Nietzsche” (Adelphi, Torino 1967)
[2]La musica del coro della tragedia, accompagnamento di emozioni scatenate, non quella sacrale, apollinea.
[3] KOHUT H., Narcisismo e analisi del Sé (Boringhieri, Torino 1980)
[4] Dal latino per-facere, fare fino in fondo, compiere definitivamente: perfetto è qualcosa che non ha posto per ulteriori miglioramenti, e quindi nel migliore dei casi rimane immobile.
[5] È chiaramente qualcosa di immediatamente fruibile per tutti, e specialmente per chi fa una vita povera di emozioni: da qui l’immenso successo della televisione, che fornisce in continuazione prodotti di questo genere a masse di persone emotivamente sottoalimentate.
[6] Una volta sola è come se non fosse niente. Un avvenimento inusuale non ha veramente peso nell’economia di una storia, è quell’escamotage di cui un esempio classico è il “deus ex machina” con cui il teatro romano di pessima qualità risolveva i vicoli ciechi delle narrazione.
[7] KUNDERA M. L’insostenibile leggerezza dell’essere (Milano, Adelphi, 1985)
[8] WINNICOTT D.W., Gioco e realtà (Armando Armando, Roma 1974)
[9] KANDINSKI V., Punto linea superficie (Adelphi, Milano 1985)
[10] Pulsione è il termine con cui Kohut indica le “spinte” dell’organismo, e corrisponde approssimativamente agli istinti nell’etologia: emozione indica un fenomeno riscontrabile soggettivamente, che si può intendere appunto come il vissuto soggettivo della spinta degli istinti.

Nessun commento:

Posta un commento