mercoledì 8 agosto 2012

La traccia come strumento conoscitivo

Atelier Sperimentale
La traccia come strumento conoscitivo

 Barbara Balestri


Atelier Sperimentale è un laboratorio di pittura dove grandi e piccoli dipingono l’uno accanto all’altro, sotto la supervisione di un adulto-educatore che accompagna il gruppo nell’acquisizione della tecnica, necessaria per potersi abbandonare all’ispirazione.
Atelier si prefigge lo scopo di collaborare alla rinascita del pensiero creativo, non solo per approcciarsi al dipinto e alla capacità che riguarda il fare artistico, ma al desiderio liberamente espresso di trasmettere le proprie sensazioni attraverso la traccia lasciata sul foglio.
L’ approccio creativo determina un risultato emotivo che nasce dal fare, e si sviluppa nel piacere di fare: l’orizzonte così ampliato non verrà offuscato dalle aspettative esterne e dal desiderio di compiacerle, ma accompagnerà il bambino come l’adulto ad uno spazio nuovo, ad un sentire nuovo, dove la personalità non venga ridotta al minimo dalle convenzioni quotidiane.
Non si è in possesso di un’unica rassicurante prospettiva educativa; siamo tutti un po’ analfabeti alla ricerca di teorie, con annesse istruzioni per l’uso, su cui appoggiare le nostre insicurezze.
“In questa situazione ambigua in cui siamo gettati per il fatto di avere un corpo e una storia personale e collettiva, non possiamo trovare risposte assolute. Dobbiamo senza tregua lavorare per ridurre le divergenze, per spiegare le nostre parole fraintese, per manifestare quel che di noi è nascosto, per percepire l’altro.”
(M.Merleau Ponty)

Per il momento credo che un aspetto fondamentale da cui partire sia la consapevolezza di sé, per facilitare l’ascolto nell’approccio educativo e smussare i conflitti, in una ricerca che non escluda il coraggio di vedere e di sentire da prospettive diverse.
Il nostro viaggio parte da una stanza, dove bambini di età diverse dipingono per il piacere di farlo e dove il piacere è collegato all’acquisizione della padronanza degli strumenti.


L’espressione è un’esperienza comunicativa che può manifestarsi in vari modi, all’interno di un processo sempre dinamico, che va dalla comunicazione intenzionale a quella istintiva e viceversa, creando un confine molto labile tra le due.  
Se provassimo per un attimo a dimenticare il nostro bisogno di “educare” e volgessimo l’attenzione al creatore piuttosto che all’opera, privilegiando il fare a scapito del risultato, l’atto del dipingere potrebbe diventare un pretesto per sentire se stessi e gli altri in un contesto libero da competizioni. Si tratta di un puro fare  non ostacolato da un occhio indiscreto, solo così l’agire creativo può condurci verso un orizzonte comunicativo svincolato dal peso che le aspettative esercitano sul singolo.

“…Quanto a noi, il nostro cuore batte per condurci verso le profondità…Queste stranezze diventeranno…realtà… Perché invece di limitarsi alla riproduzione più o meno intensa del visibile, esse vi annettono anche il versante dell’invisibile, percepito occultamente” (Klee, Conférence d’Iena, 1924)

Ciò che si crea durante i laboratori è un momento che assorbe tutta la concentrazione del bambino così come dell’adulto, aprendo una parentesi di costruzione e condivisione che non può e non deve essere interrotta da inutili richieste e correzioni, perché non c’è un buon disegno ma solamente un creatore fiero e consapevole.
“…Ci sarà sempre qualche profano che è stato a guardare sopra le sue spalle pronto a fare l’osservazione distruttrice: “Questo ancora non sembra affatto un uomo vero”. Se il pittore è dotato di sufficiente autocontrollo, penserà: “Un uomo vero non è né qui né lì, io devo procedere alla mia costruzione.(Paul Klee, 1945)
Io devo procedere alla mia costruzione: è una frase su cui riflettere.
Noi vorremmo collaborare a questa costruzione, non indirizzandola e nemmeno  interferendo con essa,  ma creando un luogo adatto affinché ogni individuo possa comunicare le proprie emozioni.
Sembra che ci siano ancora un po’ di difficoltà nell’ immaginarsi l’espressione con finalità terapeutiche: siamo abituati a tener ben separata la nostra vita, che deve produrre certezze, da un approccio creativo come strumento conoscitivo. Ritrovare una continuità tra arte e vita significa restituire importanza alla dimensione emotiva quotidiana.
“L’io come pura razionalità è un fantasma che è drammaticamente esposto agli attacchi delle emozioni perché non riesce a coglierne il valore come strumenti che assicurano, da un diverso punto di vista, la conoscenza del mondo… Una persona perbene, come fa dire Thomas Mann a uno dei suoi eroi borghesi, dovrebbe avere un buon impiego e non scrivere poesie, dipingere quadri, suonare strumenti musicali, fare del teatro. La stessa educazione dei bambini e degli adolescenti anche oggi solo fino ad un certo punto permette la libera espressione e fruizione delle personali potenzialità creative” (P.E.Ricci Bitti).
Sollecitando il bambino o l’adulto a “fare” e, nel nostro caso, partendo dallo studio del dipinto, si svilupperà una capacità di osservazione verso se stessi, approfondendo una relazione tra esterno e interno dove  le nostre azioni  coincideranno sempre più  con i nostri sentimenti, modificando i confini della nostra esistenza.


I bambini molto piccoli, di tre e quattro anni, entrano nella stanza della pittura, indossano il grembiule, lavorano e se ne vanno, come se dimenticassero il loro dipinto. Questo a dimostrazione del fatto che ciò che dà loro piacere è il gesto pittorico in sé e non il risultato finale; tuttavia l’adulto interferisce spesso, chiedendo loro  il significato di quello che hanno fatto ed emettendo giudizi sulla qualità dell’opera. Si rischia così di dare il via a quella competitività che inevitabilmente compromette il piacere per il disegno, e segna il sopraggiungere della classica frase che li accompagnerà per molto tempo:
 “Io non sono capace”.

La mamma di L. ha portato in Atelier un raccoglitore con i disegni del figlio in ordine cronologico. Li abbiamo sfogliati insieme mentre la mamma chiedeva a L. di riferirci il titolo di ogni lavoro appuntato sul retro, e, naturalmente, L. non ricordandoseli li inventava sul momento: così la mamma lo correggeva e gli suggeriva il titolo “giusto”.
L. ha 4 anni, e non sente la necessità di descrivere i suoi lavori, né di identificarli con un titolo, ma ha dovuto, per compiacere l’adulto.

Il babbo di P. è preoccupato perché il suo bambino dipinge ormai da molto tempo le stesse forme, ma quelle che a noi sembrano sempre identiche macchie di colore, sono invece parte di un percorso da cui non si dovrebbe prescindere.
Acconsentire alla reiterazione  significa anche rispettare e tutelare un mondo che deve potersi rivelare con i propri tempi, senza interruzioni né interventi, così da permettere ad ognuno di trovare da sé i mezzi necessari per esprimersi.



Due dipinti di P.

    



Spesso succede che al termine di un percorso pittorico, si crei una specie di momento silenzioso e completamente inattivo, o, al contrario, un momento di emotività esplosiva che può talvolta trasformarsi in ribellione.
M. fin dal primo giorno ha iniziato a lavorare con concentrazione e molta cura, per lo più i suoi erano accostamenti molto precisi di macchie colorate che si dilatavano cambiando forma. Questo periodo è durato circa per quattro mesi, dopo di che le figure continuavano a rimpicciolirsi fino ad occupare una piccolissima parte del foglio, e infine solo un’unica minuscola macchiolina decretava la fine del dipinto.
M. diventava sempre più nervosa e insoddisfatta, le figure rassicuranti che ormai conosceva la stavano abbandonando.
In questi momenti la tentazione di incoraggiarla o di suggerirle cosa fare era molto forte, ma il compito di Atelier consiste nel favorire l’autonomia e nel sospendere i nostri pregiudizi.
“Se una maestra interviene di continuo a dirigere il bambino, la personalità di lui si adatta, ma non si svolge liberamente perché sempre influenzata da quella dell’adulto. Fino a che questi non comprende l’importanza del non intervento sulla personalità in via di sviluppo, essa rimane nascosta e non può rivelarsi” ( Maria Montessori, 1947) .




Due dipinti di M. nei primi mesi in Atelier

      



Dipinto di M. alla fine del primo periodo




Inizio secondo periodo di M.

    





Il linguaggio espressivo talvolta si sottrae alle nostre misurazioni, e forse da questo deriva la sua efficacia. Una voce intima che si esprime senza riserbo può farsi guida nella nostra vita e aiutarci ad oltrepassare la soglia del consueto.
Dipingere non significa riuscire in un’imitazione più o meno veritiera della
realtà: vedere è capire ciò che si è visto, e certo si può comprendere in molti modi diversi e comunicarlo o ri-comunicarlo da un universo artistico autonomo e particolarissimo.
Come scrive Cassirer, spesso le parole non riescono a  coincidere con i pensieri, e ci sembra indispensabile respingere quella confusa e incomprensibile intensità.
Un evento situato al di là di ogni pericolo che permette di modificare il nostro atteggiamento di fronte alla vita forse ha origine proprio nella creazione artistica. “Questo dominio sull’esistere è il potere di cominciare, di partire da sé non per agire, non per pensare, ma per essere”. (E. Levinas).






Riferimenti Bibliografici

-         Arno Stern, “I bambini senza età”, Luni editrice, Milano, 1995
-         Emmanuel Levinas, “Il tempo e l’altro”, Il Melangolo, Genova, 2001
-         Ernst H. Gombrich, “Freud e la psicologia dell’arte”, Einaudi, 2001
-         Grazia Honegger Fresco, “Maria Montessori una storia attuale”, l’ancora, Napoli-Roma, 2008
-         Maurice Merleau-Ponty, “L’occhio e lo spirito”, Se, Milano, 1989
-         Maurice Merleau-Ponty, “Conversazioni”, Se, Milano, 2002
-         Pio Enrico Ricci Bitti, “Regolazione delle emozioni e arti-terapie”, Carocci, Roma, 1998
-         Stefano Ferrari, “Lineamenti di una psicologia dell’arte”, Clueb, Bologna, 1999









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